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Tra tanto parlare di carica sessuale e amore per lo sport, non ci si è accorti che il nuovo film di Luca Guadagnino, il grande successo di critica e botteghino “Challengers”, è una straordinaria rappresentazione di relazioni narcisistiche dove a detenere il potere coercitivo è la donna. Probabilmente il freno maschile nel parlare di emozioni (e nel portarle in cura) ha orientato le statistiche nelle differenze di genere, piegando gli studi e l’immaginario collettivo verso il prototipo dell’uomo aguzzino. Ne segue spesso una coerente illustrazione in campo artistico. “Challengers”, pur non essendo probabilmente nelle intenzioni di Justin Kuritzkes che lo ha scritto, ribalta la cartolina. Patrick e Art, amici storici e giovani tennisti promettenti, si infilano in un triangolo amoroso con la collega Tashi, talentuosa, affascinante e ambiziosa. Non è un dettaglio irrilevante che il padre abbia fatto da manager a questa “bambina prodigio”. Di sentimentale però tra i tre c’è ben poco: trascorrono gli anni e le relazioni ruotano completamente attorno al tennis; lei concede il proprio “cuore” solo a chi si rivela il più forte; muove i due ragazzi come pedine, disposta a metterli l’uno contro l’altro pur di raggiungere il proprio obiettivo (ottenere una partita spettacolare e godere del successo per interposta persona dal giorno in cui a causa di un incidente è costretta a ritirarsi). Per definirsi, Tashi ha bisogno di continue conferme, ragion per cui si getta in modo totalizzante nel tennis; ogni sfera della sua vita, compresa quella familiare, è subordinata e funzionale a questa ambizione; accetta di essere in relazione solo con chi può contribuire alla costruzione della propria immagine grandiosa; se necessario, innesta nell’Altro desideri e bisogni e tiene costantemente alta l’asticella delle aspettative attraverso un raffinato sistema di rinforzi, con la tacita implicazione che una disattesa porterebbe alla perdita dell’affetto di lei unitamente al fallimento esistenziale dell’Altro, se non alla conferma della sua inferiorità. Che l’Altro regga il gioco, se non vuole essere eliminato! Vi si aggiunge l’induzione del senso di colpa in virtù della dedizione, quasi ossessiva, che lei ha rivolto nel supportare ora l’uno ora l’altro nel diventarne allenatrice e manager, in un caotico invischiamento di ruoli. Che dire dell’evitamento di un’intimità autentica? Non esiste abbandono, ogni mossa è parte di una strategia e al contempo mascheramento di una fragilità distruttiva. Per lei è un attimo precipitare dall’idealizzazione dell’Altro a un’irreversibile delusione con tentativo di demolizione. Di contro, il senso di inadeguatezza perenne a cui è indotto l’Altro è garanzia del legame, amuleto contro la paura di abbandono. Un lavoro estenuante, per una personalità scissa come quella narcisistica.

Tuttavia, all’inizio si parlava di “relazione” narcisistica per sottolineare come a caratterizzare una dinamica si sia sempre in due e, dall’altro lato, sia presente un partner che accetti il ricatto affettivo pur di far parte del vortice di grandiosità e del comune sogno della “Terra Promessa” (e di non essere cancellato). E’ il caso dei due amici, speculari nelle reazioni e nel vissuto.

Era una sfida ardua rappresentare un tema così complesso, e il film lo ha fatto con grande forza espressiva e al contempo profonda delicatezza.

Giulia Letizia Sottile

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