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Angelo Maugeri, siciliano di origine, ma da oltre mezzo secolo residente in Lombardia, è uno
scrittore e poeta molto raffinato. Di recente, per i tipi della casa editrice Prova d’Autore, è
uscito il romanzo “La passione del poeta”. In merito a questo suo recente lavoro gli abbiamo
rivolto alcune domande.
VDP. Il protagonista di questo romanzo è, per certi aspetti, un uomo sedotto dalle lusinghe di un
altrove migliore che però sconta giornalmente il dramma dell’esule, ovvero quel profondo e
inconsolabile stato d’animo di nostalgia verso la terra natia. La Sicilia, oltre ad avere una
connotazione geografica, è senz’altro un luogo dell’anima. Quanto le è costato averla dovuta
abbandonare e quanto quel mondo antico di cui è intessuta tutta la trama del romanzo la aiuta a
sopportare il distacco?
A.M Il mio allontanamento dalla Sicilia è avvenuto proprio in quella fase della vita in cui
sono più importanti i sogni e le aspettative nei confronti di quel futuro personale che è ancora
tutto da costruire che il legame con il contesto. Andare al Nord, avvicinarmi a Milano, era per
me il primo passo per accedere a quell’universo culturale che tanto mi affascinava e del quale
desideravo far parte.
In quegli anni, poi, la mia famiglia d’origine si era già allontanata dalla Sicilia. Mio padre e
mia madre, e con loro i miei due fratelli minori, erano emigrati in Germania. Trasferirmi per
lavoro a Como, al confine con il resto d’Europa, rappresentava per me la soluzione ideale: mi
avvicinavo a loro e nello stesso tempo potevo vivere immerso in quel fermento culturale e
artistico che ha caratterizzato gli Anni Settanta.
Come spesso avviene, mi sono reso conto del valore che le cose, i legami di un tempo, hanno
avuto per me, solo quando, con il passare degli anni, ho avvertito che quel mondo non c’era
più. Quella quotidianità era svanita, ma il suo ricordo risvegliava in me delle emozioni
ingigantite dalla nostalgia per i luoghi e per quanti li avevano popolati. Queste ombre del
passato hanno finito con l’acquistare una nuova realtà, quasi mitica, che vivo come
patrimonio personale.
VDP. Quella che lei racconta è la storia di un poeta, o per meglio dire, della poesia che si incarna
nell’uomo e lo fa poeta. Alla luce delle recentissime evoluzioni tecnologiche e di una certa e
costante deriva spirituale, quanto ancora il poeta può incidere in questa società?
A.M Nella nostra società si fa sempre più spazio l’intelligenza artificiale come alternativa
all’intelligenza e all’operatività dei singoli individui. Anche nel quotidiano è frequente
incontrare robot che sostituiscono gli umani nel disbrigo di comuni attività. Per certi versi è
senza dubbio una conquista della scienza, ma a che prezzo? Progressivamente si rischia di
perdere i frutti di quella che per millenni è stata l’intelligenza umana. Si rischia di perdere il
senso critico, l’emotività individuale, la fantasia.
La poesia per me è come un viaggio che trascina con sé un bagaglio di emozioni, esperienze,
riflessioni colte con un’ottica trasversale, in controluce, sul reale e affidate alla parola, al
logos. Finché ci sarà un poeta si avrà la possibilità di portare alla luce l’autenticità insita nella
realtà, nella natura umana.

VDP. Rapporto padre-figlio quale metafora di scontro generazionale. C’è una cosa che oggi
sentirebbe di dire a suo padre e cosa rimprovera a quest’ultimo, sempre che il rimprovero non
sia strettamente correlato a un avanzo di giovinezza perduta?
A.M. Nel romanzo, tra gli altri, ho voluto trattare il tema dell’emigrazione, che nella realtà ha
segnato sia la mia famiglia che me. Per trattarlo ho preso a modello alcune figure parentali.
Mio padre era un tipico frutto del suo tempo e di quella terra, la Sicilia: piccolo possidente,
uomo semplice, onesto, legato alla famiglia, alla sua terra e al rispetto dei ruoli tipici della
società del tempo. I suoi interessi erano molto diversi dai miei e questo ha reso il nostro
rapporto un confronto dialettico.
Il non sentirmi capito da lui mi ha spinto alla ricerca di un padre ideale, di un modello, con il
quale condividere la mia passione per la poesia che tanto peso ha avuto nella mia vita. Con il
tempo, però, ho capito che il padre ideale non esiste e invecchiando mi sono reso conto di
quanto in realtà somiglio sempre più a mio padre e non solo nell’aspetto.

VDP. Gli Stati Uniti hanno profondamente segnato la Storia del nostro Paese dal dopoguerra
ad oggi. Lei addirittura parla di “attrazione mondiale” quando racconta di Tony Grasso che
ritorna da Nova York. Quante ombre ha nascosto e troppo tardivamente rivelato il sogno
americano negli occhi di quei ragazzini che agognavano di toccare, almeno una volta, la
portentosa Pontiac Chieftain Super Deluxe?
A.M. Gli Stati Uniti, si sa, sono stati meta di molta emigrazione dal meridione d’Italia
soprattutto tra la fine dell’Ottocento e buona parte del Novecento. Al di là delle strategie
spionistiche e degli intrighi politici che hanno accompagnato lo sbarco in Sicilia durante la
Seconda Guerra mondiale, per un bambino come ero io nell’immediato dopoguerra
caratterizzato da privazioni di ogni genere, la Pontiac Chieftain Super Delux rappresentava il
simbolo di un bengodi del quale ognuno sognava di far parte. Questa fascinazione ha
facilitato l’assimilazione da parte di molti di quel modello culturale che celava l’imposizione
di un dominio politico che è andato avanti per decenni e del quale l’Europa non è ancora del
tutto libera.
VDP. La potenza di questo romanzo si manifesta attraverso un’architettura linguistica di notevole
pregio, non fosse altro per l’apparente semplicità della costruzione sintattica che lo rende accessibile
a ogni categoria di lettori. Possiamo tranquillamente affermare che si tratta di un inno alla gioia di
scrivere. Da dove nasce questo fuoco creativo e come colloca quest’opera nella sua ampia
produzione di poeta e narratore?
La mia scrittura nasce da una traduzione. La mia lingua materna è il siciliano e da questo
parto per trasporre in italiano i fatti e le emozioni che racconto in forma semplice e
discorsiva.
Ritengo che la mia scrittura sia anche il risultato di decenni spesi come insegnante di lettere e
come pubblicista.
Considero il mio romanzo una testimonianza di vita e di ricerca poetica.

Vladimir Di Prima

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