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di Anna Maria Ruta

Visioni intime

“…ho lasciato che la mano tracciasse quel che dal di dentro veniva dettato.”

Sistina Fatta

Difficili gli anni Quaranta in Italia, anni tragici prima, poi di grandi sforzi per rinascere nella riconquistata libertà. Anche nel campo dell’arte sottili fermenti di idee, nuovi moduli iconografici lentamente si vanno via via consolidando fino ad approdare ad una vera rinascita. Dalla Sicilia, considerata un laboratorio della marginalità, comincia una lenta, ma costante diaspora verso i nuovi circuiti dell’arte, che ne influenza scelte diverse e differenti direzioni operative. Nascono così, particolarmente a Palermo, nuove Gallerie con un differente sistema espositivo e un susseguirsi di mostre di giovani artisti con ancora inesplorate tipologie di ricerca, che si impongono presto nella geografia e nel mercato dell’arte. La Galleria Flaccovio, la L.E.A., La Serenella, Il Chiodo, Il Sileno, El Harca e poi Il Paladino, L’Asterisco, Arte al Borgo, Quattro Venti, Mediterranea e tante altre rinverdiscono l’interesse di un pubblico curioso verso le novità artistiche. Ed è questo il momento in cui la giovane Sistina Fatta entra in contatto con loro e vi comincia ad esporre con ritmo accelerato e anche con puntate fuori città. Per lei una mostra “è un colloquio con chi (la) circonda, una parola al mondo, una pausa nelle … assurde giornate che non hanno spazio per il pensiero”.

Minuta di statura, ma vivace nello sguardo, ironica nella parola, estrosa nei comportamenti, Sistina Fatta è artista versatile ed eclettica, incline a molte forme d’arte: pittura, scrittura, musica, recitazione. Suona il violino, recita (famosa la sua partecipazione alla rappresentazione de La casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca1), restaura abilmente quadri antichi (suo sarà nel 1974 il restauro della Cappella delle Dame a Palermo) e scrive con gusto raffinato tante e tante pagine per lo più ancora inedite, spesso in forma diaristica, ma anche racconti, ritratti lampo, da cui emana tutta la raffinata sensibilità e poeticità dell’indole e che attendono una rapida pubblicazione. Sa guardare il mondo e gli uomini con occhi indulgenti, ma insieme fustiganti Sistina, scavando nella sua e nell’anima altrui, anche e soprattutto attraverso l’arte. Ama creare all’istante, quando se ne presenta l’occasione, abile com’è nel disegno, nell’acquarello, nelle incisioni, autonoma nell’obbedire alle pulsioni creative, senza farsi arrestare da nulla, capace perfino di lasciare la padella sul fuoco, mentre cucina, per seguire senza ritardi il suo estro artistico. Molti sono i sapidi e divertenti schizzi che realizza estemporaneamente, e poeticissimi e penetranti i tanti scritti ancora per lo più inediti, novelle e pensieri, spesso in forma diaristica, da cui emana tutta la raffinata sensibilità ed eleganza dell’indole. Sono da ricordare i suoi autoritratti, in cui indulge alla propria autorappresentazione, cogliendosi diversamente atteggiata in vari momenti della vita: tra questi spicca quello degli anni Cinquanta, creato per la collezione di Salvatore Salvia De Stefani,in cui si ponesu uno sfondo di foglie autunnali, segmentate e mosse, dai cromatismi che evocano echi futuristi. A questo volto può accostarsi quello molto vicino nei tratti, ma dall’espressione più matura, che compare nella copertina di Quando si cantava “Giovinezza”, un lungo delizioso raccontoautobiografico, pubblicato a Palermo nel 1987 dalle nuove edizioni femminili La Luna, risultato prima finalista con il titolo Raccolta di ricordi di famiglia 1923-1943 nel premio Archivio di diari di Pieve Santo Stefano. L’Autoritratto però forse più riuscito è un olio del 1952 dalle cromie calde e luminose, dall’espressione dolce ma sicura, che guarda lontano in atto di sfida al futuro, la vera Sistina. E, proprio nel racconto pubblicato da La Luna, Fatta afferma prepotentemente una dimensione soggettiva solo con improvvise e sottili deviazioni nella Storia, in cui con effervescenza linguistica sciorina davanti ai nostri occhi i suoi ricordi indulgendo spesso, da buona pittrice, con grande sensibilità cromatica, alla scenografia e ai colori dei luoghi.

Agli autoritratti possono accostarsi il Ritratto di Camilla Tumino, del 1943, un bel mezzobusto dall’intensa espressione e di sicura armonia compositiva e i vari ritratti dei figli, contemplati con intima dolcezza: in modo particolare Bimba del 1963, la figlia Aurora, vive di una smagliante stesura di colore. In questa tipologia le è certo presente la lezione di Michele Dixit, suo maestro di Pittura e maestro del ritratto, soprattutto femminile, anche se il segno mosso e luminoso di Fatta si discosta dal lindore e dalla precisione novecentista di Dixit.

Figlioccia di Giuseppe Amato Pojero, cugino del padre e fondatore della Biblioteca Filosofica, un circolo di alta cultura e di fama europea, Sistina frequenta l’Accademia di Belle Arti con maestri determinanti per la sua formazione come Alfonso Amorelli nell’Acquarello, Antonio Guarino nell’Incisione, Gino Morici nella Decorazione, Eustachio Catalano, Pippo Rizzo e il già nominato Michele Dixit nella Pittura, maestri di tanti artisti e artiste, tra cui l’amica Lina Gorgone, anche lei attratta in pittura da iconografie simili. Nell’incisione, in cui in particolare rivela buone abilità, sostenuta come è da un vivace immaginario, molto vicino le è il maestro Guarino, a cui gli allievi devono il rigore tecnico e la vera conoscenza del mestiere. E fondamentale maestro le è Gino Morici, docente di Decorazione, da cui apprende l’abilità e la rapidità del segno insieme con il tocco ironico soprattutto nella grafica, i cui influssi appaiono subito nei suoi primi esercizi. e poi soprattutto in alcune illustrazioni per il volume John Falstaff Knight a Life del 1944 del cugino Corrado Fatta, amico di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e di Lucio Piccolo: la stessa rapidità e facilità di segno, lo stesso gusto per la visione ironica della realtà e dell’uomo, preferibilmente ritratto in fantasiosi costumi sei-settecenteschi.

Da Morici certo deriva una complessa scena medievale poco nota di Fatta, del 19682, Fantasia su Federico II, da ricondurre a un affascinante Studio del maestro per il grande dipinto che fa da sfondo all’Aula Di Maggio della Società Siciliana di Storia Patria3di Palermo, recentemente quello venuto alla luce. Anche qui una folla di cortigiani, dame, soldatesche della corte circonda, all’esterno del palazzo, lo “Stupor Mundi” con diverse pose e situazioni. Non c’è certo la stessa abilità in Sistina, il segno è più rapido e generico, ma il soggetto,l’impostazione iconografica della scena, la gamma cromatica, certi dettagli richiamano senza alcun dubbio l’opera del maestro, mostrando l’allieva capace di impiantare e strutturare una visione complessa.

Altra notevole spinta Fatta riceve dall’altro maestro Alfonso Amorelli, che già negli anni Trenta aveva iniziato a mostrare segni di semplificazione e asciuttezza pre-astratte, che Sergio Troisi accosta al dettato di Matisse e Dufy soprattutto, il cui colore diventa luce.4 Con il dinamismo dell’impaginazione e con più nuove scelte tipologiche e cromatiche, che nascono dal gusto del moderno e dalle ultime svolte dell’arte del dopoguerra, maestro e allieva si avviano verso l’astrattismo. Sistina è attratta dalle linee sottili, nere, vibranti, che ammira nelle nuove tele di Amorelli, linee che senza azzerare del tutto la figurazione realistica, la mescolano ad un segno talvolta netto altre volte mosso, che movimenta l’immagine, scompone i piani e penetra tra le forme producendo l’effetto di un moto ritmato. Fatta si avvia per questa strada sperimentale.

Maria Poma Basile5, acuta interprete dell’arte siciliana del dopoguerra, di lei esalta allora il “piglio scenografico”, “il gusto del colore”, “la sintesi nel disegno”, più mosso, complesso e organico rispetto a certi oli, “la compiutezza tecnica ed espressiva” e ne percepisce il “successivo gusto della scomposizione dei piani, la funzione più pura del colore, la deformazione della figura”, che ne svelano le nuove strade intraprese.

***

La sua attività espositiva era iniziata a soli diciannove anni, nel 1936, quando aveva partecipato alla VII Esposizione del Sindacato Siciliano Fascista. Alle Sindacali poi sarà presente fino all’ultima, l’XI, del 1942. Negli anni Quaranta si può già parlare di una sua costante e seria attività pittorica che le fa creare grandi tele scenografiche, le cui protagoniste sono quasi sempre donne, colte in interessanti episodi d’ambiente e di lavoro: del 1940 è L’attesa, le cui cinque protagoniste dispiegano uno scenario di possibilità figurative e caratteriali assolutamente femminili, poi ribadite con maggiore drammaticità nel disegno Dramma a Porticello. Distribuite davanti a un ampio orizzonte marino, con un abile schema compositivo: in piedi, appoggiate o sedute a terra in atto pensoso, carico di un rassegnato dolore, attendono il rientro dalla pesca dei loro uomini, ricordando certe intense atmosfere de I Malavoglia di Giovanni Verga, a lei certo note. Del ’42 è l’ampia e complessa tela Il tempo della vendemmia, che come Nudo con uva di Maria Grazia Di Giorgio, esposto nello stesso anno, a maggio, al Premio Verona6 o come Georgica del ’39 o L’umor che dalla vite cola di Eustachio Catalano o ancora Motivo agreste di Michele Dixit del 1937 si allinea, pur con un suo taglio artistico e una visione personale, a certi dettati dei suoi maestri e a certe inclinazioni della politica contemporanea.

Il corpo umano diventa allora centro di un sistema costruttivo sintetico e insieme complesso, che fa emergere una compartecipe liricità dello sguardo davanti alla fatica e al dolore nel lavoro nei campi. che richiama quello di un’altra acuta e intensa artista, a lei certamente nota, Elisa Maria Boglino, sguardo che continua nel tempo, se ancora del 1968 è Pausa delle raccoglitrici, molto vicino a varie scene dell’artista danese, cui l’accomuna pure l’amore per i cavalli. In un interno familiare, invece, del ’43, è centrata la scena de La sposa (la sorella),autobiografica, dall’intenso cromatismo, affrontata con un racconto visivo ampio, ben dominato nell’ orchestrazione delle parti7. Del ‘47 è A Cascia, in cui si apre alla visione di un bel paesaggio collinare, dominato al centro da due donne ben caratterizzate nella diversità dell’età.

Ma sono i suoi ampi panorami di terra e di mare, evocati con sensibilità lirica e sociale insieme, che la raccontano, perché ruotano intorno alle sue esperienze personali, frutto di intimismi autobiografici, della sua realtà di vita, di ciò che vede dinanzi a sé in città e in campagna, di ciò che ha davanti agli occhi e diventa oggetto di personale creazione.

Vissuta periodicamente in campagna, nell’ex feudo di contrada Cascia – Battellaro, nel territorio di Contessa Entellina, in cui i Fatta posseggono delle terre, Sistina ama le verdi distese d’erba, puntellate da case contadine, verdi che riversa sulle tele con un tocco semplice e incisivo, creando paesaggi e scene campestri che esplodono luce e movimento e in cui reinterpreta autonomamente le lezioni ricevute all’ Accademia dai maestri Amorelli e Dixit.

Una natura rigogliosa e sensuale, che colpisce per la geometria segmentata e le varie tonalità cromatiche delle molte foglie, alcune stilizzate nella dissolvenza del non finito,che talora sfiora l’astratto, spie delle novità della sua pittura. Si vedano per tutti il Noccioleto del 1967 o il Paesaggio autunnale del 1970, dagli esaltanti gialli delle foglie morenti, che richiamano perfino echi metafisici. Ma anche la varietà e singolarità arborea della Villa Garibaldi che ha di fronte alla sua casa palermitana sollecitano la sua fantasia: basti pensare al famoso secolare ficus che ne è ancora oggi la massima attrazione. In queste ultime opere colpiscono allora le molte grandi foglie, assemblate con intrecci di rami, in cui a predominare è sempre “la funzione pura del colore”, in una variegata mescolanza di toni, in un gioco di segni e linee, che ancora una volta sfiorano l’astratto, rivelando la modernità e le novità della sua pittura: gusto della penetrazione tra le forme, della dissolvenza nel non finito con un uso nuovo del colore, cheproducono l’effetto di un moto ritmato.8 Elementi tutti che frantumano l’idea dell’ordine, nel tentativo di avvicinarsi a quella tensione verso il nuovo da lei costantemente avvertita. La sua pennellata diventa nel tempo rapida, alla De Pisis oltreché all’Amorelli, sfaldata e liquida, con un non finito dissolvente che ormai usa spesso. Un altro grande amore della sua enciclopedia pittorica sono i cavalli. i purosangue in particolare, sottili e snelli, che ritrae in gran numero e in pose diverse, ora nelle aperte praterie ora nelle stalle di Cascia, di cui sempre la pittrice sottolinea la superba bellezza dei corpi, percependone la concretezza fisica e il volume. Li ama i cavalli anche quando trainano le tipiche carrozzelle palermitane, private e da nolo, allora molto presenti nella città, forse nella consapevolezza che il moltiplicarsi delle automobili e delle motociclette stavano segnando la fine di questo antico e simpatico mezzo di trasporto cittadino. Al passo o in corsa, oltre che con partecipazione, le carrozze sono ritratte con un pizzico di ironia, che è poi quella con cui Fatta quasi sempre guarda alle cose e al mondo. Si ammirino, per esempio, gli zoom sugli ombrelli che volano al vento o Palloni (1950) e Pallonaio (1980), in cui l’ironia si mescola alla simpatia in un gioco di forme e di colori.

Per lei pittrice, come scriveva nel 1982: «Le carrozze con i cavalli nascono dal desiderio di trovare il colore dove il colore non c’era […], mi interessava la scoperta tra queste forme nere, di quelle macchie di colore create qua e là da un ombrellino, da un fazzoletto, da uno scialle». Nella iconografia del cavallo si coglie ancora subito l’influsso del maestro Amorelli, sensibile ammiratore di questo quadrupede fin dagli anni Trenta, che immortala definitivamente nel 1953 con un segno efficace e con linee mosse e asimmetriche nel Bar dell’Ippodromo della Favorita di Palermo9. E ancora una volta questi suoi tanti cavalli richiamano alla mente quelli di Elisa Maria Boglino.

In questi anni ’50, tuttavia, si accentuano in lei anche le preferenze per una ricerca di trasparenze e di gamme cromatiche evanescenti, che la vanno liberando dalla schiavitù di una descrizione netta e che si esercita soprattutto in delicati acquarelli di Fiori. Qui, in numerose composizioni gioca con il colore facendone esplodere intime vibrazioni di luce: fiori soffici, dalle cromie delicate, frutto di una poetica ormai matura, modellata su rapporti tonali e su cromatismi ricercati.

Ma Fatta ama anche il mare, che la sollecita nella creazione di altri orizzonti, soprattutto il mare della Cala, quello vicino alla sua casa, di ampio respiro prospettico, pur nella chiusura circolare del golfo (La Cala, 1943), e quello del porticciolo di Sant’Erasmo, ma anche il mare di Mazara, dipinti e schizzati ripetutamente da tutta la fine degli anni ’40 ed esposti in varie mostre. L’universo visivo delle acque non è mai liricamente contemplato – questo accade solo qualche rara volta, come in Faraglioni a Vulcano -, ma ritratto nel vivace movimento delle barche a vela e a remi, che si ammassano nei porti, tra il veloce fluttuare della gente al lavoro: sono ancora gli uomini, colti in varie faticose attività, che soprattutto l’attirano, e le possibilità iconografiche delle vele. Nel maggio 1967 una sua mostra viene allestita alla Galleria Il Quadrifoglio, poi divenuta La Persiana, sotto la direzione del giudice Antonio Collisani, dove ancora espone nell’aprile 1981 in un’altra Personale, La natura sognata di Sistina Fatta, e nel dicembre 1982 – gennaio 1983 in una mostra di acquarelli. Ancora un’altra mostra la vede alla galleria Il Sileno, e un’altra ancora a Il Paladino, mentre nel giugno 1977 prima e poi successivamente due altre Personali alla Galleria d’Arte Flaccovio le avevano dato l’occasione di mostrare al pubblico colto e interessato che frequentava i locali della Libreria le sue nuove soluzioni pittoriche (in oli e acquarelli sempre).10 Tutte queste mostre dimostrano quanto la pittrice sia stimata e richiesta, quanti ne apprezzino l’arte e ne ammirino l’intelligenza e il tratto elegante e signorile. Aveva avuto come colleghi di corso Pietro Consagra, allievo di Archimede Campini, cui Sistina resta amica fedele e ricambiata per tutta la vita (Consagra le farà un intenso ritratto in terracotta nel 1942) e saltuariamente nel 1944 anche i trapanesi Carla Accardi e Antonio Sanfilippo, che nel ‘46 si stabiliscono definitivamente a Roma, fondandovi con altri il movimento di Forma 1: i cosiddetti “emigrati”. I già nuovi segni artistici degli amici certo la avevano sorpresa e stimolata.11 Negli anni dal Cinquanta al Settanta così la sua propensione verso l’astratto si era intensificata e il suo diagramma iconografico si era ampliato, ma nel 1961 era ritornata all’ironia negli schizzi all’Achille Campanile che illustrano un libretto di brevi prose del padre, tra il realistico e l’umoristico, Sfumature: il segno ironico tuttavia si mescola a sguardi ora malinconici ora sorridenti su uomini e cose. E gradevolissimi, rapidi, incisivi, nati dal buon gusto e dall’acuta sensibilità sono i numerosi ritratti di famiglia, di amici, di persone note, mentre i disegni, le incisioni, i deliziosi acquarelli vengono illuminati da sempre nuove preziose tonalità cromatiche. L’acquarello consolida la sua tendenza allo sfaldamento e al impalpabilità dell’immagine, facendola indulgere negli anni anche al vezzo di certo surrealismo alla Dalì, giocoso e quasi infantile. Solo tardi, nel 1991, Emilia Valenza, per la mostra alla Galleria Passepartout, può scrivere della sua pittura, nel confronto con altri, che è “più classica” e che “le forme e il disegno prevalgono sull’astratto”12.

Una donna, un’artista che vale proprio la pena ricordare, a poco tempo dalla sua scomparsa.

Anna Maria Ruta

Bibliografia

-M. Poma Basile, Tre pittori all’USIS della “leva” academica, in “Giornale di Sicilia”, Palermo, 5 gennaio 1958.

-Alfonso Amorelli, a cura di Anna Maria Schmidt, Roma, Borgia Editore, 1991

-Amorelli, Catalogo della Mostra a cura di Annamaria Schmidt, (Palermo, Palazzo Steri, 14 febbraio-8 marzo 1997), Università di Palermo, Facoltà di Lettere e Filosofia, Palermo, 1997.

-R. Mastrandrea a cura di, Nell’ombra. L’arte al femminile tra Ottocento e Novecento, Edizioni Città di Palermo, 2002, pp. 54 e 81-82.

M. Giordano a cura di, Dixit – Ritratti 1927-1942 documenti di un’epoca, Catalogo della Mostra (Palermo, Palazzo Ziino, 2 marzo-5 maggio 2002), Eidos, Palermo, 2002.

-A. M. Ruta, Arte/Donna – Cento anni di arte femminile in Sicilia 1850-1950, edizioni di passaggio, Palermo, 2012, pp. 337-349.

-A.M. Ruta, Un pennello è caduto a terra, in “PER”, n. 35, gennaio – aprile 2013, pp.18-20.

-A.M. Ruta, La pittrice Sistina Fatta della Fratta, in C. Fucarino, La Palermo delle donne – Guida a percorsi d’altro genere, Marsala-Palermo, Navarra editore, 2013, pp.192-194.

-G. Ingarao, Pittura murale primi anni Cinquanta di Alfonso Amorelli, in Arte e Cavalli: la pittura murale di Amorelli all’Ippodromo di Palermo, a cura della stessa, Palermo, 2008.

1 Con Marcella Figlia di Granara, moglie dello scrittore Mino Blunda.

2 Citata nel Catalogo della mostra de Il Sileno del 1971.

3 Cfr. A.M. Ruta, Gino Morici e la grande scenografia della Società Siciliana di Storia Patria, in “PER”,

4 S. Troisi, L’ippodromo e il bar. Così Amorelli dipinse la Palermo moderna, in “La Repubblica”, 20 novembre 2015.

5 Maria Poma Basile, Tre pittori all’USIS della “leva” academica, in “Giornale di Sicilia”, Palermo, 5 gennaio 1983

6 Prima Mostra Nazionale d’Arte a celebrazione dell’Agricoltura.

7 De La sposa esiste anche un’altra variante, con la sola protagonista, vista di fronte, al centro della scena.

8 Questo interesse creativo è testimoniato anche dai due grandi pannelli con paesaggi esotici, banani, palme, ficus centenari dalle maestose radici, che crea su commissione per il Circolo Bellini o Circolo dei nobili, il più aristocratico e antico della città, per cui certamente Fatta si ispira alla natura della bella villa.

Oggi, questi pannelli, non più nel Circolo Bellini, sono custoditi dalla figlia Aurora-

9G. Ingarao, Pittura murale primi anni Cinquanta di Alfonso Amorelli, in Arte e Cavalli: la pittura murale di Amorelli all’Ippodromo di Palermo, a cura della stessa, Palermo, 2008.

10 Non bisogna dimenticare che la Fatta, in dieci anni, dal 1948 al 1958, aveva dato alla luce cinque figli.

11 Nell’aprile-maggio del 1946, era stata presente nella Mostra Artisti siciliani al Circolo Artistico di Caltagirone ed aveva esposto in varie mostre. Nel 1947-’48 aveva creato molti interessanti dipinti e disegni di paesaggio e di scene familiari, molti dei quali, nel 1947, esposti anche nel Circolo di Cultura di Mazara. per poi emigrare in America. A Mazara a predominare sono le ampie vedute del porto con barche a vela e a remi, oli e disegni di ampio respiro. “Più classica Sistina, in realtà, crea per sé e non ama vendere, aristocraticamente regala i suoi quadri. Nel 1950 espone alla XXV Biennale di Venezia (Latifondo a primavera) e nel maggio 1952 suoi disegni vengono ospitati nella mostra Bianco e Nero della galleria La Serenella di Palermo, mostra in cui pure espongono Alfonso Amorelli, Bruno Caruso, Maria Grazia Di Giorgio e Lina Gorgone. Nel 1958 è presente nella Mostra Franco Monteverde – Piero Bevilacqua – Sistina Fatta all’ USIS, sede culturale degli Stati Uniti d’America, attivissima in quegli anni a Palermo.

12 Emilia Valenza, Tra computer e carrozze, in “Giornale di Sicilia”, maggio 1991.

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